

Tv, Teatro e cinema
GIULIANA MUSSO ISTRIONA PADANA DEL TERZO MILLENNIO,
a VICENZA questo inverno
DI Andrea Rognoni
La MUSSO, friulanvicentina, si è imposta nel mondo del teatro in virtù di alcuni straordinari monologhi, che trasudano di PADANITA ‘ psico-fisica anche quando trattano tematiche universali, avvalentesi soprattutto di moduli espressivi tratti da un italiano fortemente segnato dalla dialettalità e dalla idiomaticita’ tipiche del cosiddetto Nordest.
In passato e stata la vasta epopea della vita e della morte, dal parto alla necrosi effettuale, non senza riferimenti a vita e costumi nostri del passato e del presente, a deliziare gli spettatori, soprattutto le tantissime spettatrici.
Adesso e’ il momento magico de LA SCIMMIA, una nuova eccezionale performance di animalita’ padana che sceglie lo strumento privilegiato della maschera “naturale” ( alterazione del viso e del corpo) per raccontare il sottile rapporto tra la bella e la bestia presente in ogni femmina umana. Alla base vi e’ la narrativa kafkiana (amata da un altro padanissimo come Buzzati) ma la rielaborazione mussiana risulta splendidamente postmoderna. Dopo tanti successi ecco ora la pièce in questione a Vicenza, al teatro Astra, dal 31 gennaio all ‘1 febbraio 2020. Val la pena ascoltare questa ISTRIONA, a metà tra Ruzante e Jonesco.

Giuliana Musso
LA BELLE ÉPOQUE, SEGRETI DI VITA TEMPO E CINEMA
di Germano Prandini
Novembre 2019, nelle sale italiane il film di Bedos e, con protagonisti Auteuil e Ardant, vince e convince.
Una sorta di scatole cinesi che ci spiegano la funzione del cinema stesso nella vita umana.
Tornare indietro nel tempo e’ possibile a patto di accettarne le spietate leggi.
Il cinema italiano non è non grado attualmente di produrre simili vette espressive.
Quel che convince di più risulta la interscambiabilita’ dei palinsesti di scena, come in un fantasmagorico carosello.
E non manca neppure una sana riflessione sulla dialettica tra centro e periferia nello spazio nazionale. Grandissima
la Fanny, padrona assoluta della scena.
A CHORUS LINE
di Loredana Pennati
Considerato Il Re dei musical, originariamente concepito dal regista e coreagrafo Michael Bennet, messo in scena a Brodway nel luglio del 1975, e tra quelli di maggior successo (restò in scena sino al 28 aprile 1990, con ben 6.137 repliche), A Chorus Line viene ripresentato per la terza volta in Italia, dopo quelle del 1998 e del 2008, stavolta con la regia di Chiara Noschese, figlia dell' indimen-ticabile imitatore Alighiero. In cartellone al Teatro Nazionale di Milano dal 14 febbraio al 14 marzo 2019, è presentato, secondo le intenzioni, con un allestimento inedito, dove l’ originale “viene rivisto alla luce di una creatività tutta italiana”, ma in realtà non sempre convince e, in definitiva, poco entusiasma. La trama del musical è incentrata sull’impegno, la fatica i sacrifici e i sogni di un gruppo di ragazzi riuniti dietro le quinte di un palcoscenico per un audizione, di ballo, i quali condividono tra loro e il coreografo Zach le proprie storie personali; per-sonaggi già rassegnati in partenza, qualche emarginato o figlio di immigrati (qualche portoricano o di colore), una star decaduta che si accontenterebbe di fare la ballerina di fila per risalire la china, tutti alla disperata ricerca di un riscatto. E se proprio il coreografo Zach (Salvatore Palombi) sembra il migliore interprete non meno crudele appare al momento della selezione, quando, infine, chiama all’ appello quella che parrebbe la rosa degli “eletti”, per poi risultare una drastica disillusione, trattandosi dell’eliminazione, … a volerla mettere in chiave biblica, verrebbe da dire : “beati gli ultimi perché saranno i primi”.
Lo spettacolo, nel colpo d’occhio iniziale, è forte, con l’ impatto di 24 ballerini che si muovono a tempo, moltiplicati dal gioco degli specchi di quinte e fondale, ma nell’ insieme l’unica hit trascinante risulta essere “One”. Una sorta di riscatto avviene poi nei 10 scintillanti minuti finali, come antidoto alla cupezza di fondo durante tutto lo show che, in definitiva, ha affossato lo spettacolo, per quanto il gruppo selezionato dalla Noschese sia di prima classe, ottimo in squadra, con belle voci e qualche brillante “a solo “ (Roberta Miolla e Chiara di Loreto).


DEGAS – PASSIONE E PERFEZIONE
di Loredana Pennati
Il docu –film sulla vita del noto pittore e scultore Edgard Degas (Parigi 1834-1917) diretto da David Bickrtstaff, che inaugura la stagione Grande Arte nel Cinema 2019 di Nexo Digital, spazia non solo nella produzione creativa del celebre artista attraversando le sale dei musei di Cambridge, Washington e Camberra, ove si trova esposta e custodita la maggioranza delle sue opere ma, con l’aiuto degli esperti e relativi curatori museali, racconta la vita del controverso artista. Al contrario di tanti altri celebri “colleghi” poveri in canna, Edgard nasce da una famiglia ricchissima, sia da parte paterna (banchiere il padre - figlio di un nobile francese fuggito in Italia durante la Rivoluzione francese e di una livornese - a sua volta raffinato intellettuale, sensibile ad ogni forma artistica, che non solo non lo contrasta ma gli apre il primo atelier in casa) e materna (di origini creole, figlia di un facoltoso commerciante di cotone) è per lo più autodidatta, a parte pochi anni all’Istituto delle Beaux Arts di Parigi.
Convinto di aver ben poco da imparare a scuola, si trasferì quindi in Italia per assorbire il senso artistico che ancora gli mancava dai musei del Bel paese, dove trascorreva gran parte del suo tempo. Seguace della scuola classica, quella del realismo con le linee preparatorie del disegno, non amando la pittura en plein air, era inoltre ossessionato dalla perfezione, creando e distruggendo continuamente le opere che non raggiungevano il risultato da lui voluto. Amante del movimento, tra cui il balletto classico e le corse dei cavalli, è famoso come pittore delle ballerine, ma pure di fantini e purosangue in gara a Longhcamps, oltre che un ritrattista eccezionale. Misogino e asociale per alcuni, brillante per altri, non ritenne necessario nemmeno prendere moglie… frequentava solo modelle e case chiuse.
La fortuna gli voltò infine le spalle con la più terribile menomazione fisica potesse capitare a un pittore: problemi alla vista - che infine lo condurranno alle cecità - lo spinsero a quel punto ad esprimersi nella scultura.
Non mancano nel film scene documentarie della vita di Parigi del suo tempo e, in raffronto, ai giorni nostri, ed anche sui rapporti di amicizia con altri ”mostri sacri” del mondo artistico in quel periodo d’oro dell’arte francese.
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Degas - autoritratto

Statua ballerina

Prima delle corse
GRANDE FRATELLO 2018
Quest’ anno Grande Fratello risulta davvero….un Puttanaio .
Sono stati riesumati personaggi d' antan come Merola, Cattaneo e la Giorgi, mandati, si fa per dire, allo sbaraglio assieme a pischelli del mondo della musica, semimillennials da manuale per l' iniziazione erotica femminile.
Ormai la trasmissione e diventata la parodia di se stessa, coi conduttori Blasi e Signorini truccati come due maitresse di fine Ottocento.
La novità del 2018 consisterebbe nella allocazione ‘bifida' tra appartamento di lusso e suite cavernicola da gustare tra una gelata e l'altra.
Menomale che in mezzo a tanta fuffa si staglia una bellissima vip padana, ragazza dell ‘ottantanove, la prorompente parmigiana (ah, se rinascesse Alberto Bevilacqua...) Benedetta Mazza.

VELLUTO… AMARO
di Laura Cesari
Quarta stagione di Velvet, la fiction spagnola ambientata in un atelier madrileno tra cinquanta e sessanta, in questa rovente estate del Diciassette. RAIUNO la ripropone a frequenza settimanale.
Il plot stavolta si incentra su due eventi di aspettativa, il ritorno paventato di Marques e l'operazione al seno di Rita. Trame interne all’ azienda sembrano impedirne il rilancio definitivo.
Velvet riesce sempre più a ritagliarsi uno spazio in Europa per il semplice fatto che riesce abilmente ad alternare scene drammatiche a gustosi effetti parodistici.
Prevalgono nettamente gli interni e questo non sempre giova alla godibilità delle sequenze.
Molti gli attori e le attrici di Velvet che in Iberia furoreggiano su grande e piccolo schermo.
VELLUTO AMARO per via delle disillusioni che campeggiano tra i protagonisti… ma alla fine vince la felicità espressiva e informativa sulla ricostruzione degli anni
d' oro della moda occidentale.

I 40 ANNI DELL ‘ALBERO PIÙ CINEMATOGRAFICO DI TUTTI , ELISIR PERENNE DI SANA PADANITA’
Compie quaranta anni L’ albero degli zoccoli di Ermanno Olmi.
Fu girato infatti nel tardo inverno e all ‘inizio primavera del 1977, annus horribilis per altri versi, dalla contestazione sanguinosa della P38 adolescenziale, alle torbide vicende di sequestri e sequestrati .
I contadini della bassa bergamasca diventarono improvvisamente i protagonisti assoluti della scena europea, colla vincita della Palma d ‘oro al festival di Cannes.
Sudore, fatica, amore, spiritualità, la Padania si faceva conoscere al mondo , facendo paradossalmente dimenticare le fabbriche di Milano e Torino, i mostri urbani della tarda modernità. Finalmente esisteva qualcosa d altro, di volutamente obliato da parte di Roma e Parigi , la campagna più fertile d Europa, coi suoi valori, la sua civiltà, la sua lingua …
Il tutto si inquadrava in un riscatto più ampio della padanità in tv e nel cinema , tipico dei settanta ed inizio ottanta ( si pensi a FO e a GaberColli, a Pozzetto, StrelherMilva, etc.). Ma il Maestro bergamasco sapeva sublimare al meglio un vero e proprio elisir, da bere ancora oggi , se vogliamo tornare...padroni a casa nostra...prima ancora colla cultura che col denaro.


LA MAGIA DELLA MEMORIA IN “FAI BEI SOGNI” DI MARCO BELLOCCHIO
A cura di Ilaria Colombo
Tratto liberamente dal romanzo del giornalista Marco Gramellini, il film e` un diario della sua infanzia legata al lutto della perdita della madre. Inconsapevolmente il ricordo rimarra` per tutta la vita fino a scoprire l`amara verita` . Sull`onda di rievocazioni legate al mondo dell`immagine televisiva dello storico sceneggiato Belfagor, la trama non presenta cedimenti in un susseguirsi fitto di personaggi e avvenimenti storici (Sarajevo). Il protagonista vorrebbe dimenticare, ma non riesce. La figura della madre e` sempre presente. Significative le parole del suo insegnante, dei Fratelli delle Scuole Cristiane che lo ammonisce a continuare sulla strada della verita` e della dottoressa alla quale si leghera` sentimentalmente. (“Lasciala andare”) Lo sguardo intenso e sofferente dell`attore saccompagnano il lento svolgersi dell`opera. Affiorano due binari diversi tra realta` e rievocazione. I momenti chiave sono scanditi anche dal tifo per il Torino calcio e dalla lettera scritta sul giornale in risposta al lettore in conflitto con la madre (cammeo di Petro degli Espositi) Si riconoscono inoltre nella “Discesa agli inferi” della discoteca spezzoni tratti dal classico del muto del 1922 “Nosferatu`” di Murnau e possibili riagganci ad altre opere letterarie come “Un altare per la madre” di Camon e “Orfeo in paradiso “ di Santucci. Nonche’ anche, filmicamente parlando, “Nuovo cinema paradiso” di Salvatores.
Il regista Marco Bellocchio e` stato uno dei maggiori esponenti del cinema di denuncia sociale tra cui ricordiamo “Matti da legare”

“LEGAMI” DAVVERO ...FORTI!
di Laura Cesari
Si e’ conclusa su raiuno la lunga serie di puntate dello sceneggiato (ci piace usare questa vecchia definizione senza sprecare farlocchi anglotermini ) di produzione portoghese che da circa un anno ha svagato i pomeriggi di milioni di italiani.
LEGAMI ha rappresentato un vero successo e ha costituito soprattutto la risposta moderna al SEGRETO di canale cinque……un minestrone ambientato molti decenni fa in una Spagna a dir poco improbabile….Protagonista la borghesia attuale di Lisbona coi suoi tic e le sue aberrazioni, legate a ricette di rancori e vendette che videro origine in traumi infantili . Bravissima l’ attrice Joana Santos, colla sua faccetta isterica da ‘angelo del male’ pronta a uccidere o danneggiare tutti quelli da cui si sente tradita.
Interni accattivanti senza spreco di barocchismi, esterni sulla citta’ antica e su quella ultramoderna, con raid nella Alentejo piu’ rurale. I dialoghi, giocati su complessi affetti incrociati, non son stati mai banali o scontati, anche se per le figure piu’ triviali, come quelle che gravitano nell’ ambiente dello sport dilettantistico si cade un po’ nella macchietta. Azzeccate le musiche di sottofondo.

LE CONFESSIONI DI SERVILLO
di Ilaria Colombo
Un film insolito, dal titolo agostiniano, LE CONFESSIONI, con risvolti da giallo pirandelliano,
tematiche da Bergman e Bresson, Toni Servillo nelle inedite vesti di un frate cistercense (Servus)
in questo nuovo film firmato dalla regia di Roberto Andò.
Un gruppo di rappresentanti del G8 si riunisce in un albergo extralusso sulle rive tedesche del Baltico per decidere le sorti economiche del pianeta. Ma tra gli ospiti c’è anche la presenza del frate voluta dall’organizzatore, nonché di una scrittrice di libri per bambini.
Ma perché proprio padre Servus? Il gran Capo evidentemente vuole confessarsi, senza peraltro poi riuscire ad ottener l’assoluzione (morto ucciso o suicida) ... con tanto di panico per tutti gli astanti. Come annunciar la sua morte al mondo? Gioco di ipotesi tra singoli con l’emergere della problematica legata a cosa siano effettivamente la Fede e il Peccato.
Alla fine il tutto si risolve quasi in ironia: film ambivalente, che può entusiasmare o deludere.
Per dirla con Bernanos, in ogni caso “Tutto è Grazia”. Ancora una volta convince l’attore campano.

TORNANO I LEGNANESI
di Francesco Valdarda
Ritornano i Legnanesi…nuova tournee con nuova piece,,,,, a partire dal Teatro Nazionale di Milano (fino al termine di febbraio)
La lingua della val d’Olona sta diventando nota in tutto il centronord grazie all’exploit di questi tre
eroi della lombardità teatrale….”La famiglia Colombo” avrà modo dunque si tornare a spopolare grazie alla bravura di Provasio, Campisi e Dalceri.
Pochi dubbi sulle standing ovation che accoglieranno la trinità e i loro collaboratori. Il travestimento va ancora di moda nel 2016 perché siamo già stanchi di pupazzetti virtuali ed attori troppo sexy per essere veri. Si dice ormai da anni che il teatro sia in crisi per mancanza di idee. Ma basta rilanciare la lingua locale nella sua versione più grassa per ritrovar l’entusiasmo di una volta.
Che la lingua italiana nella sua versione più televisiva e telematica abbia finito per stancare anche i dialettofobi?

I Legnanesi
FREUD l'IO-DIO
di Ilaria Colombo
Il visitatore . La commedia vista da noi il 20 novembre al Teatro Manzoni di Monza
“La vita è una stanza vuota”, “il male è non mantenere le promesse”, “c’è più saggezza nella follia che nella ragione”, “la vera bellezza è nella musica di Mozart”. Sono alcune tra le frasi della pièce teatrale di Schmitt “Il visitatore”. Sono gli ultimi istanti di Freud nella sua amata Vienna occupata dalla violenza e dalla cecità dei nazisti. Un nazista penetrato nella sua casa arresterà la figlia Anna, per poi rilasciarla. Infine “il visitatore” chi è? Il matto ricercato dai nazisti, un mitomane che vuole irretire Freud, un maniaco oppure... la presenza di Dio? “Il merito del nazismo è quello di avermi fatto riscoprire ebreo” dirà Freud. Intanto lo scienziato da una parte vive tra il Male (il Nazista) e il proprio Io (il Visitatore). Con momenti di comicità (yiddish). Freud si fa psicanalizzare dal misterioso Visitatore che dimostra di conoscerlo fino in fondo tanto da identificarsi con Dio. Qui il dilemma: Dio c’ è o non c’ è? Freud condanna l’esistenza di un Dio che non esiste (perché la malvagità?) dall’ altra il Visitatore accusa lui e gli altri non credenti di complicità con il Male. Sicuramente un’opera teatrale che rievoca un po’ tutto il teatro del Novecento da Brecht a Pirandello a Ionesco, con addirittura monologhi amletici-shakespeariani, ma che ben rappresenta l’attualità del dramma dell’Uomo di fronte al Male e alla stupidità. Bellissima l’interpretazione di Haber, un Freud vecchio e malato che respira ansimando, e di Alessio Boni (il Visitatore).
Altra tappa al Teatro Toniolo di Mestre- Venezia, dal 23 al 29 novembre 2015

Alessandro Haber (in piedi) e Alessio Boni
in un momento della commedia
UNA LUCIA ROMANTICA, MA MODERNA.
di Ilaria Colombo
Da segnalare la “Lucia di Lammermoor” in scena alla Scala in questo periodo (interpreti il soprano tedesco Diana Damrau e il giovane tenore Vittorio Grigolo) sia per l’ambientazione (siamo in Scozia nell’800 e non nel sedicesimo secolo), sia per la resa musicale
(utilizzo della cassa armonica).
L’opera del bergamasco Gaetano Donizzetti (1797-1848) raffigura senz’altro il momento di massimo splendore dell’opera drammatica italiana prima di Verdi. A differenza di quest’ultimo, Donizzetti scrisse instancabilmente melodrammi su richiesta, rimettendoci la salute a causa del troppo lavoro. Non dimentichiamo di sfatare una leggenda: i primi patrioti italiani non ascoltavano Verdi, ma proprio i capolavori del compositore orobico.
L’ultima edizione scaligera della Lucia non presenta particolari tinte fosche ma risulta ricca di pathos e di commozione. La “pazzia di Lucia” è stata resa in maniera particolarmente incisiva dall’interpretazione scenica del soprano con l’accompagnamento intenso della cassa armonica. Sicuramente non siamo di fronte alla storica rappresentazione di una Callas, assieme a Di Stefano e Gobbi, ma si esce dal teatro accompagnati dall’immediatezza delle emozioni trasmesse al pubblico nota dopo nota. Importante ricordare che il libretto fu scritto da Cammarata (la prima andò in scena a Napoli) dal romanzo di Walter Scott ( autore di Ivanhoe). La scenografia apprezzabile di questa edizione viene dal Metropolitan di New York.
FILM “BOCCACCIO”, NELLE SALE IN QUESTO MESE :
I TAVIANI RESTITUISCONO LA FRESCHEZZA DEL DECAMERON
di Ilaria Colombo
Di primo acchito viene spontaneo il paragone con Pasolini. Il regista friulano puntava più sull’aspetto “boccaccesco”, mentre i due fratelli Taviani danno rilievo all’aspetto “boccacciano” . Fedeli al racconto letterario, iniziano la pellicola con la rievocazione di una Firenze colpita dalla peste del 1348. Subito dopo i dieci ragazzi scelti con cura tra gli attori italiani ora più in voga si danno convegno sulle colline. I colori sono tenui, fanno venire in mente le illustrazioni preraffaellite. Alla presentazione dei personaggi vengono intercalate le novelle. Da quella di Ghismonda con la buona interpretazione di Vittoria Puccini e Riccardo Scamarcio, alla tragica vicenda non in tinte oscure di Tancredi, fino alla grottesca favola della Badessa. Soprattutto assolutamente fedele al testo Federigo degli Alberighi (quasi in maniera scolastica e teatralmente vicina a Shakespeare), in cui giocano un ruolo importante il paesaggio toscano e la presenza “quasi umana” , fino alla commozione del falcone. Come nell’ormai trentennale “Kaos” (con i racconti Pirandelliani), i Taviani riescono a dare un’interpretazione abbastanza rispettosa dei testi classici. Un film sicuramente da proiettare in tutte le scuole. Quest’opera è la terza degna di nota di questo biennio del cinema italiano, dopo “Il giovane favoloso” ( anche qui rievocazione letteraria ) di Martone e “ Torneranno i prati” di Olmi. Anche se è triste constatare che il nostro cinema deve ancora avvalersi di registi ottuagenari come appunto i Taviani e Olmi.